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Con DPCM del 21 maggio 2008 il Governo italiano ha dichiarato lo stato di emergenza “in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio”, ritenendo che ricorressero, nelle tre regioni in questione, i presupposti di cui all'art.5, comma 1, L. 24.2.92 n. 225, vale a dire “una calamità, una catastrofe” o altri eventi “che per intensità ed estensione debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari (...) anche in deroga alle leggi vigenti”. Lo stato di emrgenza è successivamente stato prorogato fino al 31 dicembre 2011.
L' Ordinanza n. 3677 del Consiglio dei Ministri 30.5.2008 ha provveduto, oltre che alla nomina del Prefetto di Milano a Commissario delegato alla realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato d’emergenza, all’individuazione di una serie d’iniziative che il Commissario è tenuto ad espletare.

A giugno 2009 il T.A.R. del Lazio, accogliendo parzialmente il ricorso e i motivi aggiunti proposti dalla European Roma Rights Centre Foundation (ERRC) e da un nucleo familiare Rom bosniaco di Roma ha annullato in parte le tre ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 maggio 2008, dettanti disposizioni per fronteggiare lo stato di emergenza dichiarato nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania in relazione agli insediamenti di comunità nomadi, nonché alcune disposizioni dei consequenziali Regolamenti adottati dai Commissari delegati per le Regioni Lombardia e Lazio (sentenza 6352/2009).

Con la sentenza n. 6050/2011 il Consiglio di Stato ha dichiarato illegittimo il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 che ha dichiarato lo stato di emergenza con riferimento agli insediamenti “nomadi” nel territorio delle Regioni Lombardia, Lazio e Campania, con la conseguenza della correlata illegittimità derivata anche delle ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008 di nomina dei Commissari delegati per l’emergenza e di tutti i successivi atti commissariali.

In seguito  il 15 febbraio 2012, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nella persona del Presidente del Consiglio, il dipartimento della Protezione civile, il ministero dell’Interno e le Prefetture di Roma, Napoli e Milano rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato hanno presentato un ricorso alla Corte suprema di Cassazione in cui si sosteneva un “eccesso di potere giurisdizionale” del Consiglio di Stato nel decidere che lo stato di emergenza era illegittimo.

Il  9/05/2012 è stata accettata la richiesta di sospendere gli effetti della decisione con la quale il Consiglio di Stato aveva dichiarato illegittimo e infondato lo stato di emergenza.

In ogni caso lo stato di emergenza si è consluso il 31/12/11 e non è stato rinnovato.

La Corte di Cassazione deve ancora esprimersi nel merito della questione.

2 maggio 2013...BUONE NOTIZIE

La Corte suprema di Cassazione ha finalmente confermato la sentenza del Consiglio di Stato che aveva dichiarato lo "stato di emergenza nomadi" illegittimo!!

qui puoi leggere il comunicato ERRC http://www.errc.org/article/end-of-the-road-for-italys-illegal-state-of-emergency/4137

 

e alcuni articoli sull'argomento

http://www.agenparl.it/articoli/news/cronaca/20130502-nomadi-ass-21-luglio-cassazione-decreta-fine-dell-emergenza

 

 

 

Corte di cassazione n. 16313 del 10 aprile 2013 – riduzione in schiavitù e tratta di persone – associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento e all’accattonaggio di cittadini romeni - ricorsi avverso ordinanza del Tribunale di Bologna - rigettati

 

Vanno rigettati i ricorsi avverso l’ordinanza del Tribunale di B. in funzione del Giudice del riesame, confermativa dell’ordinanza del GIP presso il medesimo Tribunale con la quale era stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti degli odierni ricorrenti, indagati per i delitti di associazione a delinquere, riduzione in schiavitù e tratta di persone, aventi ad oggetto cittadini romeni destinati all’accattonaggio tramite l’effettuazione di spettacoli di mimo. L’inquadramento della fattispecie ascritta agli imputati sotto la rubrica dell’art. 600 c.p. (riduzione in schiavitù) è stata correttamente operata nell’impugnata ordinanza e rientra nei parametri approntati nella materia dalla pacifica giurisprudenza di legittimità. L’evento di riduzione o mantenimento di persone in stato di soggezione consiste, infatti, nella privazione della libertà individuale cagionata con minaccia, violenza, inganno o profittando di una situazione di inferiorità psichica o fisica di necessità. Pertanto, nel caso dello sfruttamento delle prestazioni altrui, la condotta criminosa non si ravvisa per sé nell’offerta di lavoro implicante gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate verso un compenso inadeguato, poi neanche versato, sol che la persona si determini liberamente ad accettarla, ma possa, nel contempo, sottrarvisi una volta rilevato il disagio concreto che ne consegue. In ogni caso, la condizione sussiste se si impedisce alla persona di determinarsi liberamente nelle sue scelte esistenziali, per via o in costanza di una situazione di soggezione. Su questa premessa, il fenomeno risulta frequentemente connesso all’immigrazione clandestina, pilotata da organizzazioni di mafia. Ma clandestinità e mafia hanno mera valenza indiziaria, potendo il reato essere commesso da chiunque a danno di chicchessia.

 

Riferimenti normativi

art. 600, c.p.



 

Corte di Cassazione a Sezioni Unite - sentenza n. 9687 del 22 aprile 2013 - ricorso avverso sentenza n. 6050/2011 del Consiglio di Stato che affermava l'illegittimità del DPCM del 21 maggio 2008 dichiarante lo stato di emergenza - ricorso respinto

 

 

E’ respinto il ricorso proposto dalle amministrazioni dello Stato avverso la sentenza n. 6050/2011 del Consiglio di Stato, depositata il 16 novembre 2011. Detta sentenza si sottrae alle censure mosse dai ricorrenti. Il vizio che qui viene in rilievo attiene alla motivazione del decreto dichiarativo dello stato di emergenza su un punto indubbiamente decisivo, perché costitutivo della fattispecie legale: la norma applicata include, infatti, tra i suoi presupposti la necessità, per fronteggiare gli eventi, di utilizzare mezzi e poteri straordinari. Il vizio rilevato è, pertanto, un vizio di legittimità, che emerge dall’esame esterno del provvedimento, e che non implica alcuna diretta valutazione del merito. Esso è tale che, anche considerando la parte precedente della motivazione tamquam non esset, giustifica l’annullamento del decreto, al quale il Consiglio è pervenuto. Il sindacato giurisdizionale di legittimità del Consiglio di Stato non si estende all’esame diretto e all’autonoma valutazione del materiale documentario tendente a dimostrare la sussistenza dei presupposti di un atto di alta amministrazione, quale è il decreto emesso a norma della legge 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5; il sindacato medesimo, avendo natura estrinseca e formale, si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o mancanza di motivazione. Il Consiglio, in altre parole, ha correttamente – in questo caso – limitato il suo esame al provvedimento, astenendosi da valutazioni di merito. Neppure è concludente l’altra critica che si traduce nella constatazione che il Consiglio sarebbe pervenuto all’annullamento di un atto di alta amministrazione in forza di un vizio qualificabile al più in termini di insufficienza, e non già di illogicità o contraddittorietà della motivazione: in tal modo non è tuttavia individuato il vizio di eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel merito, ma un mero error in iudicando, interno alla giurisdizione generale di legittimità del Consiglio di Stato, per la mancata osservanza della riduzione che il sindacato del vizio di motivazione subisce nel caso degli atti di alta amministrazione. Un simile vizio di legittimità sfugge però al sindacato di questa corte suprema in sede di controllo dei limiti esterni della giurisdizione.

 

Riferimenti normativi 

art. 5 legge n. 225/1992

DPCM 21 maggio  2008

art 110, c.p.a.

 

 

TAR Lazio - sezione I - sentenza n. 109 dell'8 gennaio 2013 - provvedimenti di revoca dell'autorizzazione alla permanenza nell'area di via Triboniano o ordine di rilascio dell'unità abitativa per "sopravvivenza di condanne penali definitive" in applicazione del "regolamento rom" -  ricorso accolto

E’ accolto il ricorso e, per l’effetto, debbono essere annullati i provvedimenti con cui il Comune di Milano ha disposto la revoca dell’autorizzazione alla permanenza dei ricorrenti nel campo nomadi Triboniano e l’ordine di rilascio delle unità abitative dagli stessi occupate insieme ai rispettivi nuclei familiari. Preliminarmente, per quanto concerne l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse sollevata dalle amministrazioni resistenti, si ritiene che, nonostante i ricorrenti abbiano successivamente aderito a progetti concordati di rimpatrio in Romania e di erogazione di sostegni economici per lasciare spontaneamente il campo nomadi di via Barzaghi – che nel frattempo è stato chiuso –  il ricorso non possa essere dichiarato improcedibile in quanto, come replicato in sede di discussione orale dalla difesa dei ricorrenti, allo stato non può escludersi il possibile residuare in capo agli originari ricorrenti di un interesse di tipo risarcitorio, nonché comunque dell’interesse morale alla definizione nel merito del ricorso, posto che essi si sono determinati ad aderire ai progetti di rimpatrio solo per evitare l’allontanamento forzato dal campo. Passando al merito della vertenza, giova rilevare che l’art. 12, lettera a), del Regolamento delle aree destinate ai nomadi nel territorio del Comune di Milano, nel prevedere che si faccia luogo alla revoca dell’autorizzazione alla  permanenza nel campo in caso di “sopravvenienze di condanne definitive per reati contro il patrimonio o le persone” non può che significare, come esattamente rilevato nel ricorso, che costituiscono causa di revoca dell’autorizzazione alla permanenza solo le condanne sopravvenute, ovvero divenute definitive dopo la data di entrata in vigore del regolamento, e cioè l’8 febbraio 2009. Non è sul punto condivisibile la prospettazione dell’avvocatura dello Stato, secondo la quale la norma regolamentare dovrebbe essere intesa con riferimento alla sopravvenuta conoscenza da parte del Comitato di gestione dei reati e delle altre ipotesi di decadenza. Ebbene, nel caso di specie, le condanne di cui si discute sono tutte divenute definitive prima dell’entrata in vigore del Regolamento. Quanto, poi, alla censura mossa dai ricorrenti nei confronti dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3677/2008 nella parte in cui essa autorizza il Prefetto, in qualità di Commissario straordinario, a
procedere al censimento e alla identificazione personale delle persone, anche minori di età, presenti nel campo, con rilievi segnaletici, il Collegio non può che ribadire le argomentazioni svolte a suo tempo con sentenza n. 6352/2009, e confermate dal
Consiglio di Stato nella sentenza n. 6500/2011, secondo le quali è illegittimo l’art. 1, comma 2, lettera c), delle ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008, laddove lascia intendere che si debba procedere senz’altro all’identificazione attraverso rilievi segnaletici, i quali sono comunque invasivi della libertà personale, a prescindere dalla loro necessità, e, quindi, anche se gli interessati siano in grado di provare in altro modo la loro identità, anche nei confronti dei minori di età ed in assenza di una norma di legge che autorizzi il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici ovvero di una specifica autorizzazione del Garante per la Protezione dei Dati Personali.

 

 

 

          leggi qui il commento dell' avv. Zucali 

 

 

 

 

leggi qui la sentenza

 

 


 

Lo Sportello Legale del Naga ha ricevuto, dal 2008 ad oggi:

  • 2 segnalazioni di violenza ai danni di cittadini rom;
  • 7 famiglie che hanno ricevuto un provvedimento di revoca dell'autorizzazione a restare in campi autorizzati, in applicazione del "Regolamento Rom". Questi provvedimenti sono stati impugnati innanzi al TAR Lazio Roma e sono ancora pendenti (con ordinanza di sospensiva per 6 di questi);
  • 11 famiglie che hanno ricevuto avvisi di avvio procedimento di revoca dell'autorizzazione a restare a vivere in campi autorizzati contro i quali sono state proposte istanze di riesame che hanno bloccato i procedimenti;
  • diversi casi di cittadini rom, comunitari, che hanno ricevuto provvedimenti di allontanamento, per i quali però erano spirati i termini per un eventuale ricorso;
  • diverse richieste di aiuto a seguito di sgomberi. 



Sentenze interessanti

Lo stato di emergenza

Benvenuto nella sezione del sito che si occupa della tutela legale dei cittadini rom e sinti. In questa pagina troverai le sentenze più interessanti e i resoconti della cause in cui il Naga tutela i cittadini rom e sinti.

Corte di cassazione n. 47894 dell’11 dicembre 2012 – intervento durante una seduta del consiglio comunale – utilizzo di epiteti fortemente negativi ed offensivi nei confronti degli “zingari” – reato di propaganda di odio razziale


 

E’ accolto il ricorso del Procuratore generale e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essereannullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello. In primis va detto che l’intervento dell’imputato avvenne nell’ambito del consiglio comunale che, come noto a tutti, è di norma assemblea pubblica, con ampia partecipazione dei cittadini amministrati; i lavori del consiglio comunale, proprio perché trattano aspetti della vita e delle esigenze della comunità, sono per lo più oggetto di diffusione ad opera dei mezzi informativi, ma anche in caso contrario nulla verrebbe meno per l’integrazione dell’ipotesi delittuosa attesa l’apertura al pubblico dei lavori del consiglio comunale. Parimenti censurabile è il secondo passaggio argomentativo, incentrato sulla libertà di espressione legata al ruolo pubblico rivestito dall’imputato, laddove, come è noto, la funzione di consigliere comunale non legittima sicuramente di esprimersi con frasi di generalizzazione, afferente alla “etnia”, offensive non solo della dignità delle persone, ma additive di inferiorità legate alla cultura e tradizioni di un popolo. Anzi, il ruolo rivestito dall’imputato non consentiva affatto alla sua foga oratoria di spingersi così in avanti, comunque oltre i confini del lecito, ma al più avrebbe dovuto imporgli una maggiore prudenza, proprio nell’esercizio di quella pubblica funzione. Da ultimo, non è corretto il ragionamento condotto dal giudice del riesame, ove è stato ritenuto che l’intervento dell’imputato fosse una isolata manifestazione di pensiero non produttiva di “propaganda”, atteso che il reato non esclude affatto dall’alveo precettivo anche una isolata manifestazione a connotazione razzista; l’elemento che caratterizza la fattispecie è la propaganda discriminatoria, qui intesa come diffusione di una idea di avversione tutt’altro che superficiale, non già indirizzata verso un gruppo di zingari, ma verso tutti gli zingari indicati come assassini, ladri, pigri, canaglie, aguzzini e via dicendo, quindi verso il loro modo di essere, verso la loro etnia evocata espressamente, avversione apertamente argomentata sulla ritenuta diversità ed inferiorità.


 

Riferimenti normativi

art. 3, comma 1, legge n. 654/1975

art. 13, legge n. 85/2006

 

 

Corte di cassazione n. 37638 del 28 settembre 2012 – maltrattamenti o riduzione in schiavitù – minorenne costretta a chiedere l’elemosina
E’ dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’imputato avverso la sentenza pronunciata dalla corte di assise di appello. Fermo restando che il giudizio di cassazione rimane un giudizio di legittimità, va innanzitutto osservato che la previsione di cui all’art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù) configura un delitto a fattispecie plurima, integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario o dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all’accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. Tale ultima fattispecie configura un reato di evento a forma vincolata in cui l’evento, consistente nello stato di soggezione continuativa finalizzata a costringere la vittima a svolgere date prestazioni, può essere ottenuto dall’agente alternativamente o congiuntamente, mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità ovvero attraverso l’approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità ovvero ancora mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. Né appare fondato il rilievo difensivo, secondo il quale, in considerazione delle millenarie tradizioni culturali dei popoli di etnia rom, cui appartengono i protagonisti della vicenda, per le quali l’accattonaggio assume il valore di un vero e proprio sistema di vita, la condotta del ricorrente andrebbe ricondotta al paradigma normativo di cui all’art. 572 c.p. Su tale punto la giurisprudenza di legittimità, da tempo, ha escluso ogni rilevanza scriminante alle tradizioni culturali favorevoli all’accattonaggio. E’ stato infatti affermato che commette il reato di riduzione in schiavitù colui che mantiene lo stato di soggezione continuativa del soggetto ridotto in schiavitù o in condizione analoga, senza che la sua mozione culturale o di costume escluda l’elemento psicologico del reato. Né può invocarsi, da parte degli autori delle condotte, la causa di giustificazione dell’esercizio del diritto, per richiamo alle consuetudini delle popolazioni zingare di usare i bambini nell’accattonaggio, atteso che la consuetudine può avere efficacia scriminante solo in quanto sia stata richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel. c.c.



Riferimenti normativi

artt. 572 e 600, codice penale

TAR Lazio – ordinanza n. 3420 del 27 settembre 2012 - domanda di sospensione dell'esecuzione dell'ordinanza del Sindaco "Sgombero di persone e cose dal Campo Nomadi “Tor dè Cenci” per motivi igienico-sanitari, chiusura dello stesso e successiva pulizia e bonifica dell'area" - respinta. 
 

E’ respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco di Roma capitale, recante in oggetto “Sgombero di persone e cose dal Campo Nomadi “Tor dé Cenci per motivi igienico-sanitari, chiusura dello stesso e successiva pulizia e bonifica dell’area”. Nel caso di specie, si è in presenza di un’ordinanza contingibile ed urgente dalla quale appaiono ricorrere i presupposti legittimanti, quanto alle rilevate condizioni del campo di cui è ordinato lo sgombero, sul piano delle rilevate condizioni igienico-sanitarie, dello stato dell’impianto fognario e della situazione della rete elettrica. L’Amministrazione ha qui esercitato un potere connotato da significativi margini di discrezionalità, trattandosi di assicurare un interesse primario quale quello alla salubrità dell’area e più in generale quello della tutela della salute pubblica. Da ultimo, quanto alla comparazione dei contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti, la resistente Amministrazione ha comunque prospettato ai soggetti toccati dallo sgombero la duplice possibilità della riallocazione presso il Villaggio della Solidarietà di Castel Romano ovvero presso il Villaggio della Barbuta su via di Ciampino.



Tribunale di Roma – ordinanza del 13 settembre 2012 - reclamo avverso provvedimento che impediva costruzione centro di accoglienza per nomadi ed appartenenti ad etnie sinte - accoglimento

 

E’ accolto il reclamo dell’Amministrazione comunale avverso il provvedimento di urgenza che impedisce alla stessa di proseguire nella costruzione di un centro di accoglienza per nomadi ed appartenenti ad etnie sinte, provvedimento motivato dalla discriminazione razziale che il collocamento di quelle etnie in un luogo distinto dal resto della collettività rappresenta. Il Comune ha agito sulla base di un Piano governativo motivato dall’emergenza di una situazione sociale connotata dalle condizioni precarie in cui vivevano alcune comunità. L’avere agito in esecuzione di un piano governativo e l’averlo fatto per ragioni di emergenza esclude il carattere discriminatorio dalla condotta attribuita al Comune. Né può trovare accesso il fatto che il Consiglio di Stato avrebbe annullato il Piano governativo, atteso che, fermo restando che lo stesso Consiglio di Stato ha autorizzato la prosecuzione dei lavori, in realtà le censure mosse da quest’ultimo, circa la programmazione governativa, andavano in tutt’altre direzioni rispetto alla componente discriminatoria. Né le modalità attuative possono ritenersi discriminatorie, posto che l’operazione non ha le caratteristiche di un trasferimento coattivo, nel senso che il trasferimento avviene solo se l’interessato accetta. Da ultimo, non va comunque sottaciuto che l’elemento razziale è secondario nella scelta delle persone da trasferire nel villaggio di nuova costruzione, in quanto se è pure vero che si parla di nomadi, sinti, o di altre etnie, è altresì vero che il piano riguarda solo quelli tra queste ultime comunità che non hanno una dimora migliore.









TAR Lazio – decreto n. 2973 del 27 agosto 2012 – ordinanza di sgombero dal Campo Nomadi  “Tor dè Cenci” – istanza di sospensione – accoglimento.


Deve disporsi la sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza di sgombero dal Campo Nomadi “Tor dè Cenci”. Sussistono al riguardo i presupposti di estrema gravità e urgenza ai fini dell’adozione di misure cautelari provvisorie, fermo restando, nel frattempo, il dovere dell’intimata amministrazione di adottare tutte le misure idonee a ripristinare, almeno temporaneamente, adeguate condizioni igienico – sanitarie nel Campo Nomadi e nelle aree circostanti.



Riferimenti normativi

art. 56, comma 1,

codice del processo amministrativo





Corte di appello di Milano n. 397 del 3 febbraio 2011- decreto di allontanamento disposto ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 30/2007 – insussistenza dei requisiti - illegittimità



E’ respinto il reclamo e, pertanto, trova conferma la pronuncia disposta dal Tribunale, che ha annullato il decreto prefettizio di allontanamento, ritenendolo emesso prima del decorso dei tre mesi e, comunque, nel merito non rispondente alle risultanze processuali e al principio di proporzionalità. Il decorso del termine di mesi tre, presupposto formale, ineludibile per la legittima emissione del decreto di allontanamento ex art. 21 del D.Lgs. n. 30/2007, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione, deve essersi verificato alla data del provvedimento prefettizio, non rilevando che venga a maturazione nel corso del giudizio finalizzato all’impugnativa del decreto. Nemmeno è fondata l’eccezione mossa, con riferimento alla mancata richiesta di iscrizione anagrafica di cui all’art. 9 del D.Lgs. n. 30/2007, atteso che il ridetto art. 21 prende in considerazione solo le condizioni indicate agli artt. 6, 7 e 13, ma non connette affatto la sanzione dell’allontanamento alla mancata iscrizione anagrafica. Da ultimo, non può nemmeno sostenersi che l’interessata fosse diventata un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale, ove risulti comprovato che quest’ultima risultava abitare in una roulotte fornita dalla Croce Rossa oltre che svolgere lavori saltuari, senza poi trascurare il fatto che lo stesso decreto prefettizio, sul punto, non si esprime in termini di attualità, ma di previsione, in modo assai generico.



Riferimenti normativi

art. 21, D.Lgs. n. 30/2007



TAR Lazio n. 9194 del 23 novembre 2011 – istanza di accesso tesa ad ottenere gli atti relativi ai rilievi dattiloscopici – illegittimità del diniego tacito opposto dall’Amministrazione



E’ accolto il ricorso avverso il diniego tacito opposto dall’Amministrazione all’istanza di accesso, prodotta da cittadino italiano appartenente alla comunità ROM, tesa ad ottenere gli atti relativi ai propri rilievi dattiloscopici, avvenuti in occasione dello sgombero di un campo nomadi. I rilievi dattiloscopici, attenendo direttamente alla persona dell’interessato, non possono costituire una documentazione al medesimo inaccessibile, in quanto non hanno alcun contenuto estraneo al soggetto cui si riferiscono per cui la relativa conoscenza, come tale, è insuscettibile di arrecare un nocumento agli interessi generali in materia di ordine pubblico e contrasto con l’immigrazione clandestina.



Riferimenti normativi
artt. 22, 24 e 25, legge n. 241/1990
art. 3, D.M. n. 415/1994



TAR Lazio n. 6352 dell’1 luglio 2009 – stato di emergenza – decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008 – ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008 – atti commissariali – parziale illegittimità


Deve essere ritenuta, scevra dai vizi di legittimità prospettati, la dichiarazione dello stato di emergenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 maggio 2008, attesa la presenza di una oggettiva situazione di pericolo, anche e soprattutto per la stessa popolazione nomade, sotto i profili igienico-sanitario, socio-ambientale e della sicurezza pubblica, derivante dagli insediamenti di comunità nomadi, in larga misura abusivi, in aree urbane ed extraurbane. Né può trovare accesso la tesi della discriminazione razziale ed etnica nei confronti del popolo ROM, atteso che il suddetto decreto presidenziale, così come le ordinanze presidenziali del 30 maggio 2008, non sono specificamente rivolte agli appartenenti ad una determinata etnia, ma a tutti coloro che, a prescindere dalla nazionalità o da ogni altra caratterizzazione individuale, sono presenti negli insediamenti. E’invece illegittimo l’art. 1, comma 2, lettera c), delle ridette ordinanze presidenziali, laddove consentono di procedere sic et simpliciter all’identificazione delle persone, anche minori di età, attraverso rilievi segnaletici. Sono altresì illegittimi gli artt. 2.4, primo e quinto comma, 3, primo e quinto comma, 3.7 e 4.1 primo, secondo e terzo comma, del Regolamento per la Gestione dei Villaggi Attrezzati per le Comunità Nomadi nella Regione Lazio, nonché gli artt. 5, quarto comma, lettera d), 7, quarto comma e 11 del Regolamento delle aree destinate ai nomadi nel territorio del Comune di Milano, posto che trattasi di disposizioni violative del diritto alla libertà di circolazione e di soggiorno oltre che incidenti sulla libertà del soggetto a scegliere la propria attività lavorativa.



Riferimenti normativi
art. 5, legge n. 225/1992
D.P.C.M. del 21 maggio 2008
ordinanze P.C.M. del 30 maggio 2008

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